14/11/11

Meditare fa bene di Leonardo Anfolsi


Durante il meeting annuale della Società americana di medicina psicosomatica, psichiatri della università di Toronto hanno presentato i risultati di un programma di meditazione durato dieci settimane che ha coinvolto circa quattrocento pazienti che hanno visto migliorare grandemente o sensibilmente il loro stato di ansia, stress cronico, depressione ricorrente eccetera, spendendo trecento dollari a testa ovvero la cifra rispondente a tre sedute dallo psicanalista: quasi mai sul fatidico lettino accade qualcosa di veramente cruciale in così poco tempo.
Probabilmente donne e uomini dei tempi moderni si sono dimenticati che per vivere bene serve una certa forza di convinzione, quella spuria volontà che nella persona grossolana ed ignorante pare automatica. Senza questa romantica, folcloristica ignoranza non si capisce mai cosa fare: se si tratta di guadagnare tanti soldi per sentirsi meglio, se ci vuole una dieta per sentirsi più vivi con più o con meno colesterolo, più sesso, meno sesso o cosa altro.
Questa confusione è colpa della nevrosi moderna, di ciò che C.G. Jung definì come un “profondo disaccordo con se stessi”, qualcosa che in positivo, tuttavia, traccia sovente una distinzione netta fra il suddito-arruolato-parente del passato, e il cittadino-individuo-sperimentale moderno: qualcuno, quest’ultimo, che non si vedeva dai tempi di Roma imperiale.
Essere in disaccordo con se stessi: dirla così fa ridere, sembra impossibile. Difatti lo è, ci vuole tanta energia per discutere con se stessi e bisogna essere molto convinti che sia giusto usare così male la nostra energia per riuscirci davvero.
Io credo che questa mentalità ipocondriaca sia in buona parte evocata dall’atteggiamento riduzionista insegnatoci da certa scienza, cioè quell’occhio da macellaio che ci fa considerare la vita come un fatto fisiologico.
Vi sono però ricercatori che non sono schiavi di ciò che vogliono ottenere, che hanno a che fare con uomini e non con cavie, che seguono l’esperimento a tutto tondo e fino al risultato effettivo, qualunque esso sia. E’ allora che le risposte sono venute dalla vera scienza, cioè da una attitudine investigativa onorabile, benché riduzionista, perché almeno equanime e possibilista.
I ricercatori dell’Università della California e del Wisconsin hanno analizzato la meditazione Buddhista, i primi sulla zona del cervello chiamata amigdala, connessa alle reazioni di paura, la seconda studiando il lobo prefrontale, collegato alle reazioni di intensa gioia.
Il risultato esposto in termini giornalistici rovina tutto: “I Buddhisti sono più felici e più sereni”, affermazione molto ingenua che di certo non tiene conto di molte variabili. Ancora si spera in una salvezza a poco prezzo.
Sicuramente molto più composto nelle espressioni, fino al più distante disinteresse, fu Tomio Hirai che scrisse un libro appositamente riguardante la meditazione zen, libro al tempo innovativo ma oggi molto datato, ove si rendeva nota con elettroencefalogrammi molto specifici la attività delle onde alfa, teta e beta sull’organismo durante lo zazen. La meditazione secondo tali ricerche è rilevabile nella fisiologia del sistema nervoso come una sorta di stand by in cui la attività “alfa” è incrementata e la attività “teta” si evidenzia in modo incredibile nonostante lo stato di veglia del meditante.
La ultima novità ci viene dalla Danimarca ove un gruppo di neurobiologi ha pubblicato su “Cognitive Brain Research” una ricerca su esperienza meditative di relax profondo (yoga nidra) con l’uso di PET, cioè di una tomografia ad emissione di positroni e con l’uso di praticanti di vecchia data.
La presenza di dopamina in una determinata area del cervello ha registrato un aumento considerevole: la presenza del neurotrasmettitore dopamina nell’area dello striato ventrale, considerato un “circuito del premio”, è come dire che meditando si riceve una ricompensa.
I circuiti del premio collegano aree prefrontali della corteccia ai nuclei della base, di cui fa parte lo striato ventrale, come anche al talamo ed al sistema limbico.
I circuiti della gioia vengono attivati principalmente, appunto, dalla dopamina quando ci sentiamo gratificati, felici, soddisfatti, come anche da droghe artificiali quali l’anfetamina o la cocaina. Ma, sappiamo bene, come nel primo caso aumenti la salute generale dell’organismo, mentre nel secondo diminuisca.
Sulla rivista Consciousness and Cognition, Arne Dietrich del laboratorio di neuroscienze dell’università della Georgia, scrive a riguardo della meditazione che durante esercizi di concentrazione si ottengono risposte nettissime sulla “dorsolaterale” creando effetti ansiolitici ed antidepressivi, risultati che vanno ad integrare altre ricerche documentanti, nella meditazione profonda, una riduzione della attività complessiva della corteccia prefrontale, il che giustifica il potere che ha la meditazione di rendere il cervello quieto ma al contempo vigile.
Devo ammettere che parlare di “cervello” al posto di “mente” mi sembra di pungolare la ruota del carro piuttosto che il cavallo. Si muoveranno mai da questo incubo di immobilità cognitivo-esperienziale? Fisiologia versus esperienza diretta?
Dal punto di vista, assai gelido e non vissuto, della neurologia chi vuole può allenarsi a creare una esperienza di piacere a livello del suddetto “circuito del piacere”, una esperienza che ha il suo terminale nelle cortecce prefrontali divisibili in due aree: la prima, la ventromediale, riguardante le emozioni spesso perturbanti, la seconda, la dorsolaterale, essendo il centro dell’attenzione, della memoria di lavoro, della percezione del tempo. Attivando un’area, preferibilmente la seconda, si inibisce l’altra per cui attivandosi mentalmente nella memoria e nella concentrazione si inibisce la attività neurologica producente, nel ventromediale, depressione ed ansia.
Così è spiegato, per ora, il mistero dell’attenzione rilassata.
Abbiamo parlato di neurotrasmettitori, attività di zone cerebrali, studi di elettrofisiologia riguardanti soprattutto le onde Teta e perciò passiamo alla neuroendocrinologia che mostra, durante la meditazione, una potente regolazione del sistema dello stress con riduzione del cortisolo e della noradrenalina.
Il risultato sulla salute generale dovuto a questa trasmutata attività neuroendocrinologica è vasto e profondo: netta riduzione dell’incidenza di malattie cardiovascolari, dell’ipertensione, dei disturbi dell’umore quali ansia e depressione, dei disturbi gastrointestinali e chi più ne ha più ne metta, dato che l’organismo appartiene ad un uomo e che l’uomo, finalmente, è un mistero che si autoconosce e si autocelebra nella meditazione.
Maestro di Meditazione Leonardo Anfolsi

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